Sarò breve nel descrivervi la prima Guerra dell’Oppio, la quale venne combattuta tra il 1839 e il 1842 opponendo la Cina e la Gran Bretagna. Essa fu conclusa dal Trattato di Nanchino, il primo di quelli che saranno descritti come i trattati ineguali. Un secondo conflitto si verificò tra il 1856 e il 1860, questa volta coinvolgendo anche la Francia.
L’importanza di queste due guerre sottolinea il contrasto culturale tra Oriente e Occidente, un problema che si protrae da tempo e che mise molti storici in netto contrasto tra di loro.
Il Trattato di Nanchino fu il primo di una serie di accordi fatti tra la Cina e gli stati dell’Occidente, prefigurandone di simili conclusi con il Giappone, la Corea, il Vietnam e il Siam (l’odierna Thailandia); questi trattati presero il nome di ineguali in quanto apportavano benefici all’Occidente senza offrirne di reciproci agli stati asiatici.
Questo accadeva tra la Cina e il mondo attorno a lei, al suo interno, tra il 1796 e gli anni Settanta del 1800, si verificarono una serie di ribellioni che quasi rovesciarono la dinastia Qing. Quest’ultima non era una dinastia cinese ma mancese, anche gli abiti tipici di questa dinastia lo dimostrano: la testa rasata e il codino intrecciato non appartenevano alla moda cinese di un tempo.
La prima rivolta fu quella del Loto Bianco, seguì un periodo di calma fino a quando cominciò la maggiore delle ribellioni; la più devastante fu quella di Taiping concentrata soprattutto a Nanchino. Importanti rivolte di musulmani minacciarono una separazione di certe aree all’interno del regno, e fu sempre in questo periodo che esplosero società segrete facente parte della Triade, la rivolta dei Turbanti Rossi e a seguire un violento scoppio di conflitti etnici tra i gruppi dialettali cinesi nel Guangdong occidentale e insurrezioni dei Miao nel Guizhou.
L’origine delle rivolte è collegato al declino della casa regnante, gli studiosi confuciani lo interpretarono storicamente come il ciclo dinastico: l’autorità confermata dal trattato del cielo. Qualche storico moderno ha interpretato tale spiegazione: all’inizio di ogni dinastia c’è sempre chi la fonda ed è rappresentata da un uomo valido, vigoroso, efficiente nella burocrazia e che espande l’impero; tuttavia, la fase successiva, tenere sotto controllo un territorio così vasto aveva dei costi troppo elevati, accrescendo la corruzione, i militari non erano capaci di proteggere le frontiere lontane, il carico fiscale si posava sempre su coloro che avevano difficoltà di farvi fronte ridestando il malcontento contadino e quindi il preludio della nascita di rivolte.
La storia della Cina fu ripartita in sezioni dinastiche, ciò è in contrasto con la tradizione storica occidentale, la quale tendeva a percepire gli eventi come una progressione lineare piuttosto che come una ripetizione ciclica. Questo ha condotto alcuni storici occidentali a criticare il concetto ciclico perché costituiva un ostacolo alla comprensione della dinamica fondamentale della storia cinese e a tentare di sostituirlo con interpretazioni lineari.
Fortunatamente non ci sono riusciti.
L’esempio più ovvio è il punto di vista marxista, con la sua presupposizione – presuntuosa – implicita che tutte le società umane seguono lo stesso percorso verso l’alto, da quella primitiva passando dalla schiavitù, fino al feudalesimo, al capitalismo, al socialismo e infine al comunismo. Non è mai stato facile – persino per i marxisti convinti – applicare efficacemente questa progressione all’esperienza cinese.
Un altro errore attribuito alla storia cinese è la sua divisione (togliendo la storia contemporanea) in storia antica, medievale e moderna, diventata così radicata nell’opinione occidentale sullo sviluppo della civiltà europea. La società cinese è fondamentalmente diversa da quella dell’Occidente, con l’avventi dell’illuminismo venne costituita un’opinione ostile verso questo regno e il suo percorso storico, per poi diventare favorevole durante il XX secolo. Il più famoso esponente dell’opinione negativa nei confronti della Cina lo troviamo nel XIX secondo in Karl Marx, la sua interpretazione della società asiatica fu che essa era sia diversa che inferiore a quella Europea.
In occidente è stato a lungo supposto che la civiltà cinese non avesse preistoria, fortunatamente tale ipotesi fu scartata nei primi del ‘900 grazie all’archeologia e alle nuove scoperte.
Quindi, oltre a errare nell’attualizzare la storia in generale, altrettanto sbagliato è mettere ogni popolo con il suo passato nello stesso piano con il resto del mondo.
Ottimo articolo, grazie! Potresti indicare un po’ di bibliografia?
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Assolutamente sì, nel prossimo articolo sulla Cina metterò qualche testo.
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