Nella distanza di pochi anni morirono due sovrani, Edoardo III d’Inghilterra nel 1377 e Carlo V di Francia nel 1380, chiudendo così la prima parte del conflitto; in entrambi i Paesi il diritto al trono di ciascuno era passato a dei minorenni: Riccardo II in Inghilterra e Carlo IV in Francia. Per questo motivo in entrambi i territori spadroneggiavano il potere i tutori degli infanti, mentre i due Paesi erano preda di un regresso demografico.
Mentre nel corso degli anni (non dimenticando che in Inghilterra il sovrano aveva lasciato un degno erede), in Francia, fino al raggiungimento della maturità del futuro sovrano – che secondo gli usi e i costumi di un tempo avveniva con il compimento dei vent’anni –, anche dopo il suo matrimonio la situazione non migliorò; in Inghilterra, invece, la situazione si andò ad assestare a partire del 1399 con l’avvento dei Lancaster.
Ritorniamo in Francia, il regno di Carlo VI fu debole ed egli stesso presentò segni di squilibrio mentale, ci fu un’accanita lotta per il potere, la quale si restrinse a Filippo l’Ardito duca di Borgogna: l’uomo più potente e il politico più saggio del regno. Ma con la sua morte nel 1404, il suo posto venne preso dal figlio Giovanni, un uomo di grande rilievo e dove ebbe modo di dimostrare il suo valore durante una spedizione crociata, fu per questo motivo che ebbe l’epiteto Giovanni Senza Paura. Costui venne assassinato dal delfino Carlo.
Andiamo in Inghilterra, le nozze tra Enrico V e Caterina di Francia, celebrate nel 1420, furono accompagnate dal trattato di Troyes – la Guerra dei Cent’anni costituì sia in Francia che in Inghilterra un momento fondamentale soprattutto per la formazione di una coscienza nazionale, facendo emergere le differenze tra gli interessi e le culture nazionali e disgregando l’idea di una comune mentalità feudale che aveva avvicinato, tramite i rapporti di vassallaggio, i governanti dei due paesi; Caterina, figlia di Carlo VI e Isabella, andò in sposa a Enrico V, e la loro discendenza avrebbe regnato anche sulla Francia (trattato di Troyes, 1420), mantenendo tuttavia separate le due corone –, naturalmente il delfino Carlo rifiutò di riconoscere il trattato che gli impediva di essere il successore al trono, legittimo in quanto erede di Carlo VI.
Enrico V muore succedendogli il figlio Enrico VI che, ancor prima di camminare, subì il peso delle due corone: inglese e francese.
Fu in questi anni che nacque, poco prima del trattato, Giovanna d’Arco, intorno al 1412, in un villaggio dei Vosgi da una famiglia di piccoli proprietari; ella condusse una vita non molto diversa dalle fanciulle del suo tempo, finché non cominciò a udire le voci.
Dopo il Trattato di Troyes, la Francia si trovò divisa in tre blocchi, Il Nord-Ovest del paese era governato dagli Inglesi sotto il pugno di ferro del duca di Bedford, Giovanni, zio del re-bambino; a Oriente si estendeva il territorio del duca di Borgogna – rispettato da tutti –, alleato indiscusso degli inglesi. Il dominio del delfino, invece, teneva insieme con poca sicurezza e scarsa energia un Paese dall’ampia estensione ma dalla vita civile incerta. Molte zone del suo regno, del delfino Carlo, erano marginali e confinarie, quindi facilmente contestabili e nelle quali ribollivano le passioni e le lotte che a oggi noi chiameremo partigiane – ma che ne contesterei la validità e l’utilizzo della parola in quei tempi; la sua etimologia: chi parteggia, chi si schiera da una determinata parte, chi aderisce a un partito, sostenendone le idee, seguendone le direttive, per lo più con spirito fazioso e settario, di parte, col suffisso di artigiano, valligiano.
L’intero paese era intimorito dalle scorrere di bande mercenarie, dalle quali si moltiplicavano le voci di visioni angeliche e demoniache, vecchie leggende folcloristiche e culti pagani si intrecciavano alle nuove eresie.
Cominciamo con un quadro ben specifico della società nella quale è cresciuta la nostra eroina: verso il 1412, il giorno dell’Epifania, nacque una bambina nel villaggio di Domrémy (nei Vosgi), a quei tempi dipendente della castellania di Vaucouleurs. Il ducato era quello di Bar, sulla riva sinistra del Mosa – un territorio di piccole dimensioni, circondato dalle terre borgognone ma fedele al delfino, il giovane Carlo di Valois –, disprezzato perché fedele al re spodestato.
La nostra amata eroina, Jeanne, ma da tutti chiamata Jeannette, aveva visto la luce in un paese di frontiera, fedeli al delfino ma circondati dai suoi nemici. Un posto ambito, una zona importante e potenzialmente prosperosa. Quivi si incrociavano le vie mercantili che collegavano Lione e Treviri con Basilea.
Jeannette era una dei cinque figli di piccolissimi proprietari, non sapeva leggere e scrivere, non aveva frequentato nessun tipo di scuola. Si occupava dei mestieri di casa e nelle festività frequentava la chiesa. Era una ragazza molto religiosa, tipico della società del tempo, viveva la cultura tradizionale e folclorica della sua comunità: una cultura fatta di proverbi, espressioni consuete, conoscenze tecniche e materiali, di credenze e di leggende.
Era usanza tra le giovani donzelle riunirsi attorno a un faggio, che la tradizione folclorica collegava alle fate e attorno al quale si danzava e si ballava; questo succedeva durante le feste e in primavera, un omaggio a dimenticate e antiche divinità germaniche: la Calenda maja, il Calendimaggio celebrato un po’ in Europa, soprattutto nel Nord. In questo sito c’era una fonte celebre per le sue proprietà taumaturgiche, molti ammalati venivano a berne l’acqua; proprio poco distante sorgeva un bosco di querce, una sacralità protratta dalle antiche tradizioni celtiche e germaniche.
Nei racconti collegati alla religione Norrena, l’albero, la fonte e il bosco sono collegati tra di loro, dove intorno giravano sempre leggende simili ma, a tratti, con qualche differenza.
Jeannette era un’adolescente di tredici anni, a quell’epoca non si era più bambine a quell’età, e fu nell’estate del 1425 che udì delle voci da lei attribuite all’arcangelo Michele e alle sante Margherita d’Antiochia e Caterina d’Alessandria. Ma fu solo l’arcangelo Michele a parlare della liberazione della Francia dagli inglesi, un simbolo e un significato non casuali, visto che il protettore della Francia è proprio lo stesso San Michele, dato che il suo “collega” San Giorgio aveva deciso di proteggere gli inglesi.
Giovanna era nata infatti in una famiglia molto devota, ma questo particolare venne utilizzato contro di lei durante il processo, considerando la famiglia di natura superstiziosa.
Jeannette aveva tre fratelli maggiori e una sorella – la quale morì di parto nel 1428 –, di loro tre si è a conoscenza dei loro pellegrinaggi in Santiago di Compostella, a Roma, a Gerusalemme e sul Monte Sinai; alcuni storici, però, sostengono che i nomi dei fratelli di Giovanna, Jaques, Pierre e Jean, fossero comuni a quel tempo – e l’antroponomastica del Quattrocento era piuttosto monotona – mettendone in dubbio la veridicità.
Ben poco si sa sui pellegrinaggi del padre della fanciulla, mentre la madre veniva soprannominata Romée, dove i pellegrini che proseguivano verso Roma prendevano il nome di Romei. Ma non era inusuale per quei tempi, queste terre venivano attraversate continuamente da pellegrini e devoti.