Sembrerebbe sia nata nel 1412, condannata e bruciata al rogo nel 1431. L’intera parabola della nostra eroina ha vita e si conclude nel periodo conclusivo di un lungo conflitto dinastico e, in fondo, di una guerra civile.
Alla morte dell’ultimo re dei Capetingi (dinastia che regnò in Francia dal, nel ramo diretto, dal 987 al 1328; le origini sono incerte, forse della Neustria, si suole indicare con questo nome, per il quale Ugo capeto, la dinastia che tenne il regno di Francia dallo scomparire dei Carolingi; terza tra i merovingi, carolingi e capetingi), l’avvento al trono di Filippo di Valois scatenò un conflitto sanguinario che vedrà la corona di Francia e di Inghilterra combattersi per oltre un secolo senza esclusione di colpi. È il periodo e anche il conflitto che a oggi chiamiamo Guerra dei Cent’Anni, anche se durò un po’ più di un secolo e che ebbe svariati intervalli nel corso delle sue battaglie, e che durò 116 anni, dal 1337 al 1453.
La fase della storia europea compresa tra il Trecento e il Quattrocento è attraversata da una crisi, un significativo peggioramento climatico diede il via a una fatale catena di carestie e, di riflesso, di epidemie come la peste nera, la quale ebbe il culmine nel 1347-50. Tutto questo provocò una forte recessione demografica, accompagnata dall’abbandono dei centri demici e di aree coltivabili, dove le città ebbero delle ripercussioni sociali che andarono verso i fallimenti a catena come le banche fiorentine. Questo malessere comune sfociò in vere sommosse popolari, quivi avvenne la nascita della la paura di un terribile essere malvagio che avrebbe dominato la fine dei tempi: l’anticristo.
La guerra Guerra dei Cent’Anni fa parte di questo quadro, il vuoto dinastico venutosi a creare con la morte senza eredi maschi, l’assemblea dei baroni del regno di Francia stabilì di offrire la corona a un cugino del defunto re, Filippo di Valois, diventando così Filippo VI re di Francia. Questa scelta levò i diritti diretti di discendenza a Edoardo III re d’Inghilterra.
I rapporti esistenti tra la corona di Francia e di Inghilterra erano antichi e complessi. Nel 1066 il trono dell’unificata monarchia anglosassone venne conquistato da Guglielmo duca di Normandia, creandosi una delicata ma non inconsueta situazione: re della corona d’Inghilterra e vassallo della corona di Francia, in quanto duca di Normandia.
Nel 1154 si insediò sul trono d’Inghilterra una nuova dinastia vassalla della corona di Francia: i Plantageneti duchi d’Angiò, divenendo signore di gran parte del territorio francese. Anche se i possessi del sovrano inglese si ridussero nel territorio francese tra il XII e il XIV secolo, il legame tra i due paesi rimase molto forte.
Il conflitto si scatenò nelle terre fiamminghe, fu un tentativo di Filippo VI di sedare l’ennesima rivolta a far sì che le città di questa terra si rivolgessero al re d’Inghilterra, fu in tal occasione che quest’ultima denunziò i rapporti vassallatici e anche dinastici che lo legavano alla Francia e alla sua corona (Edoardo III era figlio di Isabella di Valois e sorella di Carlo IV). Tra il 1337 e il 1338 scoppiò la guerra.
Durante il corso della guerra, bensì la forza militare francese fosse ben più numerosa, gli inglesi riuscirono a umiliare e sovrastare l’orgoglio nobiliare francese.
In tutto questo non ci siamo dimenticato della nostra paladina Giovanna, ho dedicato più articoli sulla Guerra dei Cent’Anni e, prima di fare entrare la La Pulzella d’Orléans, vorrei che ci fosse più chiarezza sull’argomento.
Nel 1360 si giunse alla pace di Brétigny, dove Edoardo III rinunziò alle sue pretese sulla corona francese e la Francia riconosceva la sovranità inglese sulla Guienna. Ma la guerra riprese nel 1369, sotto la guida del re Carlo V il Saggio dove i francesi, fatto tesoro delle sconfitte precedenti, evitarono lo scontro frontale e battaglie campali dannose in cambio di una serrata tattica di guerra.
Questo conflitto francese andò a intricarsi nella questione sulla contesa della corona scoppiata in Castiglia, questo portò al governatore inglese dell’Aquitania, Edoardo del Galles, detto il Principe Nero, le sue gesta in primo piano. Non tralasciamo le Fiandre, sempre in lotta contro la fiscalità francese, le quali furono piegate dal fratello del re di Francia: Filippo II l’Ardito duca di Borgogna.
È indispensabile sottolineare come questa guerra e il suo percorso sfociarono in una “guerra dei simboli”, Giovanna d’Arco ne fu una delle protagoniste. Nel 1335 Edoardo III d’Inghilterra aveva adottato come sua insegna una croce rossa su fondo d’argento, il significato più considerevole riguardava il suo precedente impiego, usato soprattutto in Italia dalle milizie guelfe (da Welfen, duchi di Baviera, favorevoli a un’intesa con Roma) incoraggiate da inquisitori e predicatori popolari. Si pensa che nell’insegna si volesse riprendere l’antica e venerabile bandiera imperiale, caratterizzata da una croce d’argento su uno sfondo vermiglio – ne aveva invertito i colori, com’era l’abitudine araldica, dove nella Penisola italica del Duecento si conosce una croce rossa guelfa e una croce bianca ghibellina (da i signori di Waibling, da cui il termine ghibellini, e di Svevia).
Nella tradizione iconica la croce rossa in campo d’argento era diventata per eccellenza il simbolo della guerra santa, infatti era proprio la croce rossa nel XI secolo cucita sugli abiti che contraddistingueva i pellegrini armati a Gerusalemme, attribuzione come arma araldica al santo guerriero per eccellenza: San Giorgio. C’è un “ma”: nella tradizione diffusa dai romanzi del ciclo del Graal, Galaad conosciuto come Queste del Graal aveva dei veri e propri caratteri cristici, portando uno scudo argenteo rossocrociato.
Gli Inglesi in onore del loro San Giorgio, cominciarono a fregiarsi di una croce vermiglia; i Francesi avrebbero risposto adottandone una bianca attribuita all’arcangelo Michele, secondo una tassonomia delle opposizioni cromatiche e agiografiche familiare ai gusti e alla mentalità di quei tempi.
Giovanna era caratterizzata da uno stendardo e una spada, lo si conosce da alcune descrizioni e da qualche immagine. Si sarebbe trattato di un vessillo candido sul quale, all’immagine di Dio assisso sull’arcobaleno, si affiancavano due angeli che recavano nelle mani il giglio di Francia; si accompagnavano in nomina divina che sarebbero stati da allora l’impresa della pulzella: Jesus-Maria. Uno stendardo a due punte che reca, ben in vista, il trigramma IHS, figura secondo gli usi del tempo abbreviata. Tale scelta manifestava la propensione per il mondo francescano.
La sua spada era arrugginita ma sulla lama c’erano incise tre croci, ella l’aveva veduta in una delle sue visioni al santuario di Sainte-Catherine-de-Fierbois – potrebbe essere un chiaro riferimento alla “spada nella roccia”, un simbolo archetipo che torna anche nella letteratura arturiana –; un arma di questo tipo era appartenuta al santo-cavaliere Galgano che si venerava nel santuario a lui dedicato nella Maremma senese. Il culto di Galgano era strettamente connesso a quello dell’arcangelo Michele.