Per i popoli vichinghi il guerriero morto in battaglia raggiungeva il Valhalla (da qui l’evenerismo ed evemerismo), quindi era considerato anche un atto empirico, ricco di valori dove non doveva mancare l’onore; questo aspetto – non dimentichiamoci che il Medioevo è germanico – non ci deve far tralasciare l’eredità che noi europei abbiamo avuto da queste popolazioni germaniche, come: i valori di un cavaliere, la fedeltà dove la guerra è un’eredità ancestrale e una costante antropologica.
Nel Medioevo la guerra era pubblica o privata dove, non solo l’economia, ma la vita quotidiana era influenzata da questa antica festa cruenta e crudele. Tutto questo, dopo la seconda metà del XI secolo, veniva arricchito da una celebrazione, un rito che serviva “per fare un cavaliere”: il cavaliere più anziano consegnava al postulante le armi significative del suo futuro stato, soprattutto e in particolare la spada. Seguiva un colpo inferto dal cavaliere a quest’ultimo, un atto che serviva a fargli ricordare il giuramento. Tutto questo è rivenuto dai testi francesi, visto che è dalla discendenza dei franchi che nasce la cavalleria come i tornei. Il colpo era dato a mano aperta come uno schiaffo, una palmata (per l’esattezza) inferta sulla gota o sulla nuca.
La fama di un cavaliere accresceva grazie alle battaglie vinte, o ai tornei a discapito dei vinti – dove ne inglobava il feudo (se mai lo avesse avuto), il cavallo, l’armatura, etc… del cavaliere sconfitto –, il suo lavoro era la guerra e si poteva anche arricchire con scorrerie, saccheggio nelle terre e nei castelli conquistati.
Molte guerre erano dovute a dei motivi personali tra nobili, tra cavalieri che avevano delle discrepanze anche sotto lo stesso regno. Queste vendette, o guerre personali non solo indebolivano le casse della corona, ma faceva perdere gli uomini a un re che, se mai ne avesse avuto bisogno, non ne poteva più disporre. Fu così che si crearono i tornei, dove ogni cavaliere poteva risolvere le proprie diatribe senza coinvolgere altri uomini e senza lo spargimento inutile di sangue altrui. Solo la propria vita e la loro reputazione era partecipe a quella che poteva essere un combattimento personale.
Anche la chiesa era stufa per l’inutile spargimento di sangue tra “fratelli” battezzati sotto un unico, lo stesso Dio, certo che i tornei erano una buona uscita per gestirne al meglio i rancori ma, comunque, ne condannava la brutalità.
I tornei, per i sovrani, erano anche visti come un’opportunità che contribuiva all’addestramento dei giovani cavalieri e tenevano occupati quelli di loro che non erano in guerra.
Ma la guerra sembrava inevitabile, soprattutto nel XII e XIII secolo, questa portava ricchezze, ma anche epidemie e carestie, soprattutto nella penisola italica.
Gli eserciti feudali si basavano quasi esclusivamente sui cavalieri, con l’avvento dei comuni, invece, negli eserciti comunali accanto alla cavalleria troviamo gli arcieri, i balestrieri e le milizie cittadine.
È esclusiva medievale che il cavaliere, il guerriero, non può essere chiamato soldato: Il termine deriva dal latino e indica qualcuno che ha operato per denaro; solidare, in latino significa pagare e proprio i soldati romani erano pagati in Solidi, ma non i cavalieri o i guerrieri medievali. Precisamente deriva dall’antico francese che, di riflesso, deriva dal latino; ed è per questo motivo che, nel cadere dell’epoca medievale, avremo i mercenari: soldati, pagati, fare il soldato, partire, andare soldato, essere arruolato a chi faceva il mestiere delle armi per denaro.
Mentre in epoca romana (sia repubblicana, imperiale e tardo antica), la guerra era altresì una costante, nel Medioevo – non va commesso l’errore di giudicarla come epoca più sanguinaria – i conflitti erano guerre di città e potevano durare un giorno, un mese, o anni. Aveva molteplici significati: uno strumento di affermazione per le singole potenze che la utilizzavano per ottenere la supremazia sui vicini, o per creare proprie aree di influenza, per impadronirsi di regioni ricche di risorse o per conquistare nuovi territori.
Le élites, i nobili, utilizzavano il combattere a cavallo come tratto distintivo e caratterizzante. Nel corso dell’epoca medievale il quadro globale cambiò più volte, dal contrastare le invasioni di altri popoli nordici o altre tribù barbare, alle guerre per colpire le risorse economiche come succedeva tra i comuni nella penisola italica.
La cavalleria pesante rappresentava la risorsa principale grazie alla capacità di movimento, alla forza d’urto e all’addestramento dei suoi componenti. Svantaggiata in uno scontro corpo a corpo per la pesantezza dell’armatura, e in difficoltà se la battaglia avveniva in una zona fangosa.
Anche l’armamento cambiò nel corso di tutta l’epoca medievale, la dotazione standard del cavaliere si definì nell’XI secolo: corazza di cotta di maglia, scudo, elmo, spada e lancia. Quest’ultima era utilizzata per la carica “lancia in resta”, resa possibile dalla realizzazione di particolari tipi di sella, che consentivano al combattente di colpire a piena forza e restare lo stesso a cavallo.
Nel corso del Duecento, i fanti accrebbero le loro capacità di resistere ai cavalieri grazie all’adozione delle lance lunghe, delle mannaie e, soprattutto, delle balestre.
Fondamentale per la guerra medievale era l’assedio, soprattutto perché permetteva una vera e propria guerra di logoramento per chi lo subiva. Dopo l’anno mille vi fu il periodo dell’incatenamento dove tutte le città e i principali insediamenti rurali disponevano di fortificazioni, castelli e torri isolate.
Anche in questo campo la tecnologia conobbe una rapida evoluzione con la diffusione delle artiglierie a contrappeso (prima il mangano e poi il trabucco) e poi, dopo Trecento, dai cannoni e delle bombarde a polvere. Le strutture fortificate, invece, le quali a loro volta mutarono per sostenere al meglio la minaccia esterna, passando dalle fortificazioni in terra battuta e legno altomedievali a quelle in pietra e mattoni del XII-XIV secolo, alle rocche, basse, tozze e dotate di piazzole per l’artiglieria del XV.
Ritorniamo alla questione iniziale: nel medioevo il conflitto era una costante quotidiana, per qualcuno rappresentava l’unica ragione di vita, per altri un flagello, una piaga come la malattia e la carestia. Per alcuni fonte di immenso guadagno, per altri solo morte e distruzione.
Gli eserciti medievali non erano composti da uomini in uniforme, gli equipaggiamenti erano simili al punto che sarebbe stato difficile identificare, a colpo d’occhio, un amico da un nemico; ma il contesto era caratterizzato da stendardi, guidoni, simboli personali, motti e grida di battaglia, questo rendeva più facile individuarne il nemico o il compagno.
Va, quindi, dimenticato il senso di uniformità militare che il cinema ha voluto trasmettere, affermando che non ha nessun fondamento storico. Come l’agilità non era contemplata, visto che le armature erano pesanti e scomode; in una vera battaglia si tendeva a rimanere quanto più a lungo possibile spalla a spalla con i propri compagni, in formazione serrata. A cavallo o a piedi erano le formazioni chiuse che conducevano le battaglie. Le armi pesavano, e tranciare arti e infilzare corpi era veramente faticoso, infatti, se pioveva, la battaglia veniva rimandata: si poteva scivolare, rimanere isolati, beccarsi un dardo vagante in uno sciame di frecce.
Curiosità: il saluto militare odierno – che consiste nel portare la mano destra al cappello – deriva propio dai cavalieri medievali che, soprattutto durante i tornei, per salutarsi tra rivali (o nemici) alzavano la visiera dell’elmo con la mano destra.