Tutta la storia e gran parte del progresso storico è dovuto ai popoli che vissero in riva al mare e solcarono i mari, abbiamo i popoli dell’antica Grecia, i romani, i vichinghi, i popoli arabi e via scrivendo… molti stati a stampo germanici sono nati sulle rive di un piccolo sbocco sul mare e, quando nacque l’Impero prussiano, al mare ambiva la futura Germania.
Partiamo da qua, dal secolo decimo nono, quando l’impero pangermanico e panrusso si contendevano il potere del commercio sui mari (oltre a quello militare); da questa rivalità, da questo odio, dalla nascita degli studi sulle razze umane di questo secolo – che poi si andrà a finire alle guerre oscure del Novecento –, proprio in questo periodo che il vocabolario germanico assunse parole dispregiative verso i popoli slavi e, poi, verso altri popoli definiti razza inferiore.
Partiamo dall’immagine che fornivano i vocabolari tedeschi, le enciclopedie, dell’immagine piuttosto chiara dei polacchi e della parola polacco: con i lemmi “Polack”, “polatschen”, “polnisch”, “polaken”. Dagli inizi del XIX secolo il concetto di polacco indicava nella lingua tedesca un individuo stupido, vile, abietto, rozzo, sporco, incapace e ubriaco. Mettevano frasi come “polenvoll”, “voll wie ein Pole”, quest’ultima indicava un individuo selvaggio, che si lascia andare agli impulsi, incompetente e inadatto al lavoro.
Un’altra parola tedesca che segnò la violenza dei secoli XIX e XX, fu untermensch (parola tedesca per sub-umano). Questo termine indica una specifica categoria di popoli inferiori come: prima gli slavi poi, a seguire, gli ebrei, gli zingari e ogni altra persona che non fosse di “razza ariana”.
Prima delle persecuzioni ebraiche fu messo in atto – dagli strascichi del secolo precedente – l’antislavismo di Adolf Hitler contro polacchi, ucraini, russi e altri popoli appartenenti a questa tribù antica. Partiamo dal secolo decimo nono dove ancora gli ebrei erano parte integrante del popolo tedesco, tutti i tedeschi e gli ebrei dell’impero prussiano e, ancora di più, in quello austriaco si ispiravano al modello di Berlino imposto a quei tempi; nello steso tempo una parte degli slavi guardava verso il modello Russo, dove l’impero austriaco era già finito ancor prima della sua caduta dopo il primo conflitto e, dove, una Prussia e una Russia temporeggiavano e avevano accodi matrimoniali tra sovrani ma, che, in segreto, ognuna di loro avrebbe strappato con le unghie e con i denti i territori ambiti dall’una e dell’altra.
La società totalitaria della Germania era già in atto in questi anni, reduce di un popolo di combattenti e guerrieri quali i vichinghi – differentemente dalla pacifica, per esempio, popolazione ceca che rappresenta ancora oggi una delle migliori tribù slave, in quanto nelle loro vene scorre il sangue Hussista, il sangue caldo dei toboriti –, dove le sue strutture politiche, sociali, economiche sono semplificate al massimo e un programma ideologico è imposto alle masse come visione del mondo ridotta di solito a poche idee di base. Questo ha portato Hitler a selezionare le sue idee, quelle che naturalmente riteneva giuste, le ha trasformate in programmi, meccanizzate e imposte nelle scuole, nelle università e in tutto il circuito sociale: il programma globale del Terzo Reich.
Uno di questi stereotipi nazionali fu, propriamente, l’immagine negativa degli slavi, quest’ultimo punto ha una lunga tradizione nei paesi di lingua tedesca.
Come per noi anche il principio pseudo-etimologico della parola porta origini non molto positive (da noi, poi, diventata “ciao”) tra il concetto di “Slave” (slavo) e di “Sklave” (schiavo). Ciò che accentuò il significato di questo termine fu ciò che accadeva nell’impero russo agli occhi dei popoli dell’Elba e del Reno: la Russia era un paese di schiavi governati da una ristretta cerchia di uomini liberi influenzati dalla cultura prusso-germanica. Va sottolineante che, parte i russi, fino agli anni Settanta del XIX secolo nessun popolo slavo possedeva un proprio Stato.
Lo slavo occupato non accettava questa sua condizione di “schiavitù” sotto la mano pangermanica, questo non faceva altro che confermare l’opinione che gli slavi fossero servi nati e non uomini liberi.
«Popoli privi di una propria cultura, a cui era necessario portare la lingua e la cultura tedesca» fu una delle voci che, sin dai tempi del secondo Reich, si vociferava tra i tedeschi e la tedeschizzazione.
I popoli germanici venivano raffigurati, soprattutto prussiani e austriaci, come personificazione della cultura; già nel XIX secolo i russi vengono descritti come mezzo-asiatici o mezzo-barbari, dove gli studi delle razze e la lunga invasione tartara, per i germanici ariani, aveva contaminato già una razza inferiore.
Ritorniamo alla popolazione ceca, i pregiudizi nei confronti dei cechi dall’Ottocento alla metà del Novecento vennero come una lotta millenaria: nella loro professione di fede presentata al sinodo di Guttemberg riunito nel 1442 dove dichiararono il papa l’anticristo, bastò, a distanza di secoli, a lasciare “un odio legittimato su basi razziali” contro i tedeschi, di cui loro dovevano difendersi.