La crisi del Trecento

Siamo agli inizi del trecento quando, in tutta Europa, si registra un rallentamento di quel processo di crescita che aveva investito nei tre secoli precedenti tutti i settori produttivi e avendo, di riflesso, un aumento di popolazione. Le innovazioni introdotte dopo l’anno Mille nell’ambito delle tecniche agricole erano state di portata limitata e non erano in grado di concorrere ulteriormente all’aumento della popolazione; va di logica che: quando il rapporto tra popolazione e territorio raggiunse il suo punto di rottura, non si poté evitare l’insorgere di frequenti carestie, colpendo maggiormente la parte più povera della popolazione.
Il Trecento viene considerato un secolo di crisi ma anche di trasformazione, un pezzo importante della storia del Medioevo (XIV secolo). Un secolo di grandi letterati come Petrarca e Dante, di mercanti… ma, allo stesso tempo è un periodo attraversato da catastrofi ambientali, disastri economici, di fallimenti e di epidemie di peste.
Quando si trattano argomenti come “crisi economica”, si va sempre a prendere come riferimento il crollo della borsa di Wall Street, riferendoci al famoso 24 ottobre del 1929. Ma crisi non vuol dire sempre la stessa cosa, questi stati transitori nascono con il crollo della borsa – riferendoci anche alla crisi 2008 – , con le speculazioni finanziarie che di colpo si scopre fondata sul nulla, che producono disoccupazione e calo degli investimenti, povertà diffusa e riduzione del tenore di vita della gente. Rotolando alla crisi del Trecento possiamo constatare che ha qualcosa di diverso, anche se ha una comune che le possa collegare alle altre: la crisi del trecento significa fine di un lungo periodo di crescita.
Il periodo storico Medievale è un periodo molto lungo, dove, in esso, si può trovare una lenta crescita, soprattutto quella demografica. Questa crescita è una risorsa e la società si attrezza per produrre di più e dare da mangiare a tutti: aumento della produzione agricola, vino e altri prodotti. Le città si ampliano e accrescono la forza lavoro – soprattutto per la costruzione delle cattedrali – e di disoccupazione non se ne parla. L’espansione degli appezzamenti di terreno da coltivare e coltivato, arriverà a tal punto da istituire leggi per la salvaguardia e la protezione boschiva (i boschi).
E poi la crisi, dove la crescita si inceppa, dove il mondo creato da Dio – società molto credente – a misura d’uomo improvvisamente moltiplica dei segnali di disagio, di malessere. In una società preindustriale come questa, ciò che importava più di tutto e tutti era come sarebbe andato il raccolto, da questo dipendeva se si mangiava a sazietà o qualcuno doveva fare la fame. Comincia a esserci un calo di natalità e un aumento generale del tasso di mortalità, il calo della produttività e l’insorgere delle carestie vennero causati da un repentino calo delle temperature, un clima più rigido e piovoso, l’avanzamento dei ghiacciai artici e alpini, l’innalzamento del livello del mar Caspio, il mar Baltico ricoperto di giaccio e in tutta Europa ci furono piogge torrenziali che duravano dalla primavera all’autunno, protendendosi fino alla successiva estate.
Ma, nel 1321, fu la scarsità di piogge a rovinare ancora di più i raccolti nell’Europa settentrionale, mentre la lunga siccità invernale nel Mediterraneo del 1373/74 provocò una primavera eccezionalmente piovosa.
Le crisi di sussistenza che l’Europa conobbe nel Trecento frenarono la crescita demografica e la resero più esposta alle epidemie, le quali, pur essendo state diffuse in territori ben circoscritti non avevano mai raggiunto una tale gravità come in questo periodo. Tutto questo fece peggiorare le già precarie condizioni igieniche delle città, una popolazione indebolita dalle carestie rendendo il terreno propizio al dilagare delle malattie e delle epidemie. In particolare fu violenta un’epidemia di vaiolo nel 1336 mentre, nel 1348, gli effetti disastrosi della peste bubbonica, la “morte nera”, furono paragonati a quello del diluvio universale. Quest’ultima, assente in Occidente dal VI secolo, vi giunse dal Medio Oriente dilagando prima in Italia, in Francia e in Spagna e poi in Inghilterra e in Germania, per poi raggiungere nel 1350 i paesi scandinavi.
Andando nello specifico non sempre si trattò di peste, ma gli effetti furono gli stessi se prendiamo una popolazione debilitata alla sottoalimentazione e dotata di scarse difese immunitarie alle malattie anche memo pericolose di per se, ma con già gravi conseguenze. Va sottolineato che le epidemie di peste, aggiunte alle altre malattie, non furono dello stesso tipo: prendiamo l’ondata del 1348 e del 1371 che colpì soprattutto gli adulti lasciando immuni molti bambini, mentre quella del 1360 colpì in particolare i giovani; questi effetti combinati – lasciando sì difficoltosa l’opera di recupero demografico – fecero in modo che, agli inizi del Cinquecento, si tornasse al livello generale della popolazione europea dei primi del Trecento.
Prendiamo nello specifico il 1348, non fu solo l’anno della morte nera, un disastroso terremoto che devastò la Carinzia, nell’Austria centro-meridionale, fu causa di circa diecimila morti. Va ricordato anche il terremoto nel 1349 nell’Appennino italiano (Montecassino, Isernia, nell’Aquilano… ).
Il focolaio dell’epidemia della peste – da studi recenti – è stato localizzato nel cuore del regno mongolo, precisamente nella regione del lago Balkhas (Kazakistan), da dove, seguendo la via della seta, avrebbe raggiunto Samarcanda nel 1341 e quindi la Crimea nel 1346. Quivi il suo passaggio è documentato con certezza dalle vicende della colonia genovese di Caffa, assediata dai Tartari, i quali avrebbero catapultato in città cadaveri di appestati, attuando una sorta di guerra batteriologica. L’anno dopo la peste è già a Costantinopoli, manifestandosi primariamente nel quartiere genovese di Pera – importata dalle galere genovesi provenienti da Caffa –; intanto le galee genovesi continuarono a diffondere il morbo per le città costiere del mediterraneo, attraccando prima a Pisa e poi a Genova. Resta ancora il mistero del fatto che abbia risparmiato una città come Milano, con il termine “risparmiato” si intende che abbia avuto dei contagi talmente minimali da non fare scoppiare una vera e propria epidemia all’interno della città.
La peste non abbandonerà l’Occidente fino all’ultima comparsa a Marsiglia nel 1720.

Pubblicato da isottafranci

Scrittrice, illustratrice, pittrice e appassionata in storia

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