Toledot

Il popolo ebraico esiste da prima della nascita di Cristo e continua sino ai giorni d’oggi, il passato è per loro come una lunga catena in cui ogni individuo costituisce un anello, piccolo ma indispensabile perché essa non si spezzi. È errato definirli seguaci di una determinata religione o rappresentati di una razza specifica, essi costituiscono un popolo che condivide una storia e un’identità culturale oltre che religiosa: il giudaismo.
Il primo ebreo a essere chiamato tale fu Abramo (ivrih), il patriarca della Bibbia da cui discendono le tre stirpi di monoteisti: giudaismo, cristianesimo e islamismo.
Perché Israele?
La Bibbia è l’insieme di libri, un testo sacro narra di un antico e tortuoso cammino: il cammino verso la fede. Il Dio della Bibbia è invisibile e per il suo rispetto – soprattutto tra l’immensa distanza che separa l’uomo da lui – non va raffigurato, ma Abramo è tra i primi a ricevere tale rivelazione. Gli ebrei sono detti Israele, è rifatto il nome che viene dato a Giacobbe, figlio di Isacco e nipote di Abramo. Giacobbe è il capostipite delle dodici tribù, dodici figli i quali diedero il nome a ogni tribù.
Gli Ebrei, o figli di Israele sono anche chiamati Giudei, da Giuda, uno dei figli di Giacobbe (questo Giuda non ha nulla a che vedere con il Giuda traditore di Cristo), egli è il capostipite di una delle tribù, quello che rimase più a lungo indipendente, prima di cadere nelle mani di diversi imperi: Assiro-Babilonesi, Greci, Romani, Arabi, crociati e i Turchi.
A oggi gli Israeliani sono i cittadini dello Stato di Israele, occupando lo Stato della Palestina – Gaza è ciò che rimane di questo stato: il conflitto nella Striscia di Gaza del luglio-agosto 2014 ha determinato il più elevato numero di sfollati dal 1967. Popolata da epoche remote, la Palestina è stata ed è tuttora una terra sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani. Attualmente è una delle regioni più instabili del Pianeta, a causa delle gravi tensioni suscitate, a partire dal 1948, dalla nascita dello Stato di Israele, che ha profondamente scosso gli equilibri dell’area dando origine a una tuttora irrisolta ‘questione palestinese’.
Chi sostiene che tale terra fosse degli Ebrei in epoca antica non sa che fu la sede di fiorenti città commerciali nel III millennio a.C., la Palestina fu assoggettata dagli Egizi tra il XV e il XIII secolo a.C. Nel XIII secolo a.C., quando vi giunsero gli Ebrei, la Palestina era dominata dai Filistei (una popolazione giunta per mare, forse da Creta, in quello stesso secolo). Tre secoli dopo sorse nella regione il primo Stato ebraico indipendente, che si divise poi nei due regni di Israele e di Giuda. Verso l’ottavo secolo cadde sotto il controllo degli Assiri, dei Babilonesi, dei Persiani, dei Greci e dei Romani.
Luogo di origine del cristianesimo, essa entrò a far parte dell’Impero bizantino nel V secolo d.C.
Fu quindi conquistata dagli Arabi intorno alla metà del VII secolo e islamizzata. Teatro delle crociate tra l’XI e il XIII secolo, nel Cinquecento venne assorbita nell’Impero ottomano, sotto il cui dominio rimase sino agli inizi del Novecento.
Verso la seconda metà dell’ottocento – e qui sarebbe da fare capire a chi da contro solo a Hitler per la Shoah, dove tutta Europa andò contro la popolazione ebraica – la Palestina divenne meta di migliaia di ebrei in fuga dall’europa a causa delle persecuzioni (soprattutto da parte della Russia zarista, persecuzioni che continueranno anche dopo il secondo conflitto); la Francia fu uno dei primis paesi di quel millennio ad avercela con gli Ebrei, per poi esplodere nella Germania Nazista.
Durante la Prima guerra mondiale la Palestina cadde nell’orbita della Gran Bretagna, la quale si impegnò, seppure in modo contraddittorio, a trasformare la regione in un «focolare nazionale» ebraico. Affidata in mandato alla Gran Bretagna dalla Società delle nazioni nel 1922, tra le due guerre essa vide crescere l’immigrazione ebraica e gli scontri tra i coloni ebrei e i palestinesi. Lo sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale per opera dei nazisti impresse una definitiva accelerazione a questo processo che, dopo vari tentativi di mediazione, sfociò infine nella proclamazione dello Stato di Israele nel 1948. Stato nato per decisioni altrui, per incoerenza e per mano di nazioni che volevano risolvere il problema “levandoselo letteralmente di torno”.
La nascita dello Stato di Israele modificò radicalmente gli equilibri della Palestina, inaugurando un periodo di acuta conflittualità tra Israele, gli Stati arabi e i Palestinesi. Le guerre arabo-israeliane sorsero dal 1948-49, 1956, 1967 e nel 1973.
I Palestinesi si vennero a trovare in una condizione drammatica: da un lato, negli Stati arabi vicini, dove fuggirono dopo la guerra del 1948-49, ammassandosi in enormi e invivibili campi profughi; dall’altro lato, nei territori della Cisgiordania e della striscia di Gaza, che gli Israeliani occuparono dopo la guerra del 1967.
Da qui nacque un conflitto tra terminologie simili ma del tutto differenti: il sionismo, anti-sionismo, ebraismo, anti-semitismo. Termini utilizzati in maniera errata dalla propaganda della “Israel lobby”, confondere anti-sionismo e anti-semitismo è un errore linguistico e filologico, ancor prima che storico. Significa divulgare ignoranza e guerra, e far un torto all’ebraismo stesso: infatti non tutti gli ebrei sono sionisti.
Il sionismo ha quattro obiettivi: trasformare l’identità ebraica transnazionale centrata sulla Torah in un’identità nazionale già comunemente diffusa in Europa; sviluppare una nuova parlata basata sull’ebraico della Bibbia e dei rabbini; trasferire gli ebrei dai loro paesi d’origine alla Palestina; stabilire un controllo economico e politico sulla “nuova antica terra”, utilizzando se necessario la forza.
Gli antisionisti sono coloro che si oppongono a uno o più degli aspetti del progetto sionista, la secolarizzazione e il sionismo trasformarono profondamente molti ebrei, che abbandonarono le pratiche morali e rituali che l’ebraismo aveva sviluppato durante quasi due millenni. Alcuni ebrei, come ad esempio molti coloni della Cisgiordania, usano addirittura strumentalmente l’ebraismo per obiettivi prettamente legati alla militanza sionista.
Gli ‘ebrei tradizionali’ sono tutti coloro che sono rimasti fedeli alla tradizione ebraica. Coloro che non appoggiano la questione sionista ebraica. Gli Ebrei non sono una nazione, né soltanto una fede religiosa, né tantomeno una razza, professano il giudaismo, ma appartengono alle tribù semite (le origini); un popolo che ha vissuto buona parte della sua storia disperso fra le altre genti, in mezzo a culture, lingue, regimi diversi. In Italia così come in Marocco, India, Argentina, Russia, Etiopia e tanti, tanti altri paesi del mondo, e pur vivendo in questa situazione per millenni, gli Ebrei hanno continuato a custodire la propria identità.
Un popolo dal trascorso travagliato e pieno di sofferenza, dove è sempre sopravvissuto e che ora, nella causa Israele e Palestina, non si fa mancare di restituire ingiustamente il male che “ha ricevuto” nel corso dei secoli.

Col nome di Semiti è designato un vasto e compatto gruppo etnico e linguistico dell’Asia anteriore le cui sedi presentavano nell’antichità e (prescindendo da pochi nuclei isolati formatisi in seguito a particolari vicende migratorie) presentano tuttora una singolare continuità territoriale.
Da un territorio ben specifico, delineato e dipartito già in età molto remota, un movimento migratorio (forse anche più di uno) che ha prodotto lo stanziamento stabile di popolazioni semitiche sulla porzione meridionale della costa africana del Mar Rosso e nel retroterra (Etiopia); invece i tentativi di penetrazione semitica che a Nord della migrazione etiopica e parallelamente a questa si erano, fin da età antichissima, diretti verso l’Egitto, non acquistarono carattere di stabilità se non in un tempo prossimo a noi, con la conquista araba del secolo VII d. C., in conseguenza della quale un altro popolo semitico, gli Arabi, si stabilì in Africa, dapprima nella valle del Nilo, che risalì fino a congiungersi, nel Sudan, con le estreme propaggini dei Semiti di Etiopia, quindi lungo la costa e nel retroterra dell’Africa settentrionale, fino a raggiungere l’Europa attraverso lo stretto di Gibilterra e a introdurre nella Spagna elementi etnici semitici, peraltro non copiosi né immuni da mescolanze allogene né destinati a prevalere nel territorio occupato. Anche più scarse numericamente, benché importantissime per la storia della civiltà, sono due altre correnti migratorie che condussero i Semiti oltre i confini del loro territorio: quella dei Fenici, che molto prima degli Arabi si erano disseminati, in centri cittadini, lungo le coste africane e spagnole e nelle grandi isole mediterranee; quella degli Ebrei, del tutto particolare per origine e per sviluppi posteriori, in seguito alla quale colonie di origine semitica si sono stanziate in tutti i paesi d’Europa e anche, in tempi recenti, in America. Le comunità ebraiche contemporanee (e fino a un certo punto anche le colonie di Arabi della Siria stabilite nell’America Settentrionale e Meridionale) segnano, a rigore di termini, l’estremo punto di arrivo dell’espansione migratoria semitica.
I popolo semitici sono suddivisi in tre gruppi: Assiro-Babilonesi (o Accadi); Semiti nordoccidentali, cioè gli Amorrei, questi ultimi a sua volta sono suddivisi in Cananei (Fenici, Ebrei e altri) e Aramei; Semiti sud-occidentali, cioè gli Arabi (dialetti nord-arabici e sud-arabici) e gli Etiopi.
Invece il sionismo è movimento politico e ideologico volti alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina (da Sion, nome della collina di Gerusalemme).
Sviluppatosi alla fine del XIX sec., in seguito all’inasprirsi dell’antisemitismo in Europa orientale e alla crisi seguita al cosiddetto affare Dreyfus, il semitismo avanzò le proprie rivendicazioni nel Congresso di Basilea (1897). Furono allora tracciate le linee del futuro programma d’azione del semitismo, in cui si fondevano tre tendenze: la prima vedeva nella colonizzazione agricola della Palestina il mezzo per restituire agli Ebrei la loro dignità umana e per far valere in futuro effettivi diritti sul territorio, la seconda, etico-religiosa, si batteva per un ritorno alla tradizione e la rinascita di uno spirito nazionale e dei valori culturali e religiosi dell’ebraismo; infine, la terza, quella politica mirava a ottenere la concessione di una ‘carta’ internazionale che autorizzasse e tutelasse l’immigrazione ebraica in Palestina.

Pubblicato da isottafranci

Scrittrice, illustratrice, pittrice e appassionata in storia

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