Sempre stato considerato il crocevia tra Oriente e Occidente l’Afghanistan è considerato uno dei paesi più poveri del mondo, causato in parte alle different condizioni ambientali, ma anche sociali ed economiche. Ciò che ha contribuito a piegare di più questa terra sono state le tante guerre sopportate delle genti afgane, la sua posizione strategica l’ha sempre fatta da bersaglio.
Raggiunta l’indipendenza nel 1747, ma l’interesse soprattutto per i russo e gli inglesi, le svariate popolazioni situate all’interno di questa terra ha sempre reso l’Afghanistan un luogo travagliato.
Negli anni Venti del secolo decimo nono l’Afghanistan si liberò dalla tutela britannica – durata per tutto l’Ottocento – e avviò una politica di equidistanza tra Urss, Cina e Stati Uniti. Ma nel 1973 ci fu un colpo di Stato che abbatté la monarchia, anche nel 1978 un ulteriore colpo di Stato portò al potere il partito comunista, dal quale l’Urss, nel 1979, non si fece mancare l’occasione di invadere il paese. I Sovietici rimasero in Afghanistan per un decennio, affrontando un sanguinoso conflitto con i guerriglieri islamici (mugiahidin).
mujaheddin sono combattenti del jihad nel senso di guerra contro i nemici di Dio, ma anche semplicemente, nel mondo arabo, combattenti per la propria patria. Si definiscono così i membri della guerriglia islamica radicale attivi in molti conflitti contemporanei, soprattutto nell’Asia centrale e nel Sud-Est asiatico. Il termine divenne noto nel corso della guerra russo-afghana, durante la quale (1979-89) vennero sostenuti, in vari modi, da Stati Uniti, Pakistan e Arabia Saudita. Contrastarono l’intervento militare sovietico a sostegno del governo progressista afghano. Tra i vari gruppi si distinse quello finanziato e organizzato da Osama Bin Laden, il quale nel 1988 diede vita al gruppo di al-Qa‛ida. Alla fine della guerra, i mujaheddin si divisero in due componenti: l’Alleanza del Nord e i Taliban, tra i quali ebbe inizio un’aspra guerra civile.
Di mujaheddin si parla anche a proposito dei guerriglieri, sunniti e sciiti, attivatisi in Iraq a partire dal 2003 contro l’occupazione delle truppe statunitensi.
L’Afghanistan è un paese dal clima continentale con capitale Kabul, mentre altre città più importanti sono Kandahar e Herat – danneggiate dalle ultime guerre –; non è ricco di risorse naturali ma, data la sua posizione strategica, è sempre stato più volte soggetto di tentativi di conquista per il passaggio tra Cina, Iran e le steppe del Nord. Essendo posizionato in questa posizione strategica – “un incrocio” – è caratterizzato da varie etnie: Hazari, Usbechi a nord, Pashtun, Tagichi a sud, Beluci a sud e Pathani (sempre Pashtun) a est.
Ognuna di queste popolazioni contenente una sua organizzazione sociale e con una propria lingua.
Questo paese anticamente era percorso dalla via della seta, percorsa da carovane che collegavano il Mediterraneo con l’Oriente. Anche Marco Polo l’attraversò nel suo viaggio in Estremo Oriente, da lui raccontato nel libro Il Milione, dove si parla anche dell’Afghanistan.
Nel 1992 l’Afghanistan divenne una repubblica islamica, ma continuò a essere dilaniato dalla guerra tra i vari gruppi di mujaheddin, sin quando, nel 1996, prevalsero i taliban (“studenti” delle scuole coraniche).
Talebani (o Taliban) è un gruppo di fondamentalisti islamici formatisi nelle scuole coraniche afghane e pakistane (dal pashtō ṭālib «studente»), impegnato nella guerriglia antisovietica in Afghanistan; tra il 1995 e il 1996 sono emersi come vincitori della guerra civile afgana successiva al ritiro dell’URSS e, conquistato il potere, hanno imposto un regime teocratico basato sulla rigida applicazione della legge coranica.
Costoro instaurarono un regime fondamentalista: le donne non potevano studiare né lavorare, gli uomini erano obbligati a frequentare le moschee, e per le punizioni si ricorreva spesso alla lapidazione pubblica. Nel 2001 l’intervento militare degli Stati Uniti rovesciò il regime dei taliban. Nel 2004, dopo tre anni di governo provvisorio, si sono svolte le prime elezioni democratiche della storia afghana, che hanno visto l’elezione di Hamid Karzai alla presidenza della Repubblica.
Era la sera del 27 dicembre del 1979 quando il presidente della repubblica Afghana, Hafizullah Amin, cenava all’interno del suo sontuoso palazzo presidenziale quando i suoi ospiti iniziarono a sentirsi male. Lui stesso crollò prima di avere il tempo di reagire, questo dedusse che la cena era stata avvelenata e solo un medico russo riuscì a salvare la vita al presidente. Solo poco dopo, nel tentativo di riprendersi, Amin venne avvertito che il palazzo era sotto attacco e, proprio in quel momento, le forze speciali sovietiche – tra cui una squadra di specialisti del KGB, il servizio segreto russo che aveva appena cercato di avvelenarlo per la seconda volta – si stavano contendendo il palazzo con la sua guardia presidenziale. Circa un’ora dopo l’inizio dei combattimenti, Amin venne ucciso, in circostanze mai del tutto chiarite. L’attacco al palazzo presidenziale di Amin e il contemporaneo colpo di stato con cui l’esercito sovietico occupò Kabul segnarono l’inizio dell’invasione sovietica dall’Afghanistan, un conflitto che sarebbe durato per un decennio, costando la vita a centinaia di migliaia di persone, soprattutto afgani.
È corretto specificare che il governo dell’Unione Sovietica, a partire dalla morte di Stalin nel 1953, cominciò a prestare sempre più attenzione ai Paesi del Terzo Mondo; questo perché l’eliminazione dell’influenza occidentale avrebbe indebolito l’Occidente capitalistico, rappresentando un vantaggio di lungo termine per l’URSS. È per questo motivo che i rapporti tra Russia e Afghanistan erano collaborativi, soprattutto perché permetteva all’Afghanistan di collaborare in campo economico con diversi stati. Era evidente che i vantaggi commerciali erano da ambo i lati: rendere vantaggiosa la collaborazione con Kabul dal punto di vista della politica estera sovietica, fare della cooperazione sovietico-afgana un modello per altri paesi del Terzo Mondo.
E qui, nel 1978, tra gli obiettivi si aggiunse l’ostinata difesa della rivoluzione socialista afghana. L’invasione sovietica iniziò il 27 dicembre 1979, segnando una cesura nella storia della guerra fredda; ultima grande avventura internazionale prima della sua caduta.
Non dimentichiamoci che l’Afghanistan, prima dell’occupazione sovietica, era stato un paese povero ma stabile, una remota area di frontiera da tempo dimenticata dalle grandi potenze. I dieci anni di occupazione sovietica lo cambiarono profondamente e lo trasformarono in una nazione traumatizzata e ferita, divisa da una guerra civile che sarebbe terminata soltanto con l’ascesa del regime talebano.
Naturalmente intervennero gli Stati Uniti, riattivando una truce guerra civile che dura ancora oggi.
Per dieci anni l’Afghanistan, prima dell’invasione sovietica, era stata alleata con la Russia e, proprio questa invasione fu presa alla leggera da questi ultimi, pensando che fosse stata una sorta di “guerra” lampo. Il presidente Amin era comunista e lui stesso aveva chiesto l’intervento sovietico per sconfiggere un’insurrezione scoppiata nel paese. La risposta dei leader sovietici inizialmente era stata negativa, perché non volevano che il paese fosse diventato una sorta di “Vietnam”; ma nel giro di poco tempo la situazione gli sfuggì di mano, perché i comunisti afghani non vollero prendere il potere lentamente – non avevano assolutamente l’intenzione di temporeggiare –, ma utilizzarono la forza: nel corso dei venti mesi di governo di Amin, si calcola che più di 20 mila persone siano state uccise, e moltissime appartenevano allo stesso Partito Comunista, sottoposto da Amin e dai suoi colleghi a feroci e periodiche purghe.
Tutto questo ci viene riportato dallo storico britannico Rodric Braithwaite, naturalmente raccontata nei suoi scritti dal punto di vista dell’Unione Sovietica.
Nel 1979 i sovietici inviarono crescenti aiuti al governo di Amin e ammassarono truppe ai confini con l’Afghanistan. Lo stesso anno Amin fece assassinare il presidente afgano, Nur Muhammad Taraki, il leader locale più vicino a Mosca. Per i sovietici una presa di potere concentrato nelle mani di Amnir, considerato un leader sanguinario e inaffidabile.
Anche l’occupazione Sovietica fu brutale e durò fino al 1989. È chiaro che i sovietici non ebbero una vera e propria sconfitta come gli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, ma non riuscirono a dominare i mujaheddin – come venivano chiamati gli insorti –, essi si dimostrarono guerriglieri abili e coraggiosi, esperti del terreno e sempre capaci di scomparire nelle montagne dopo aver compiuto un attacco.
I mujaheddin non furono mai un fronte unito, infatti quando i sovietici si ritirarono iniziò una guerra sanguinaria tra di loro.