Mentre prima facevamo riferimento a Erodoto, ora, nel proseguimento del percorso Greco, seguiremo le testimonianze di Tucidide. La grandezza di Tucidide, lo storico della guerra del Peloponneso, è tale da condizionare profondamente ogni ricostruzione.
Come è ben noto le storie di Erodoto si interrompono un po’ bruscamente con la presa ateniese di Sesto, l’anno successivo delle battaglie esclusive delle guerre persiane. Tucidide, una generazione dopo il suo grande predecessore, decise di rinunciare a quello che era forse il primitivo progetto di riallacciarsi a Erodoto e di conseguenza sacrificò la narrazione del periodo racchiuso tra le due grandi guerre della grecità, considerato di minore rilievo.
In effetti le fonti a nostra disposizione, oltre a Tucidide, sono poca cosa.
La battaglia di Micene, nell’estate del 479, costituisce l’ultimo atto delle guerre persiane. In realtà, la guerra non era terminata: i Persiani costituivano ancora una minaccia e la fragile alleanza di stati greci che aveva conseguito la vittoria, sotto la guida spartana, si trovava a fronteggiare problemi enormi per i quali non disponeva di precedenti né di istituzioni formali che aiutassero nelle scelte. Al di là degli aspetti terminologici, il punto da sottolineare è che i Greci non vivevano quegli anni con lo stesso senso di sicurezza e tranquillità con il quale i vincitori affrontano, di solito, i primi anni dopo un duro conflitto.
La pace di Callia mise Atene in una posizione di forza per negoziare con i Persiani un’interruzione delle ostilità, che in qualche modo duravano da cinquant’anni. Dalla parte Persiana l’interruzione delle ostilità non poteva che essere vista come un punto a loro favore, in una zona comunque marginale nel loro regno e che da tempo non aveva garantito un gran successo. La cosiddetta pace di Callia (dal nome del negoziante ateniese), con la quale nel 449 si giunse a un accordo tra Atene e Persia, pose fine alla guerra che era scoppiata con la vittoria ionica, aprendo la famosa età di Pericle.
L’Atene periclea dette una dimostrazione della durezza del suo imperialismo, con la famosa pressione della rivolta di Samo; una delle più importati isole dell’Egeo, era tra i pochi membri della Lega di Delo che avesse sempre continuato a fornire navi. Ma la sua fedeltà all’alleanza con Atene non le aveva impedito di mantenere un governo oligarchico; ma questo non andò molto a genio all’Atene democratica di Pericle e, quando scoppiò un contenzioso tra Samo e Mileto a proposito del controllo sulla pólis di Priene, Atene appoggiò la democratica Mileto. Scoppiarono dei malcontenti nella fazione oligarchica, seguito poi da un colpo di stato e l’intervento militare di Atene non si fece attendere: una flotta guidata dallo stesso Pericle giunse sull’isola, a Samo fu imposto il definitivo smantellamento della flotta.
Una delle cause principali del conflitto (la guerra del Peloponneso) fu la volontà degli ateniesi, guidati da Pericle, di affermare la propria egemonia sui greci. Il casus belli fu l’intervento di Atene nelle vicende interne di Corcira (Corfù) e della città di Potidea e, soprattutto, il blocco ateniese del commercio di Megara, pesante danneggiamento contro una città della lega peloponnesiaca. Ciò fu ritenuto inaccettabile da Sparta che accusò Atene di aver violato la pace stipulata nel 446 e mosse guerra.
La guerra del Peloponneso, inizialmente combattuta fra Atene e Sparta, finì per coinvolgere tutte le póleis greche, raggiungendo perfino le colonie occidentali. Lo storico Tucidide, che la raccontò nella sua opera La guerra del Peloponneso, la definisce «il più grande sconvolgimento che abbia interessato i greci e una parte dei barbari e che si sia esteso, per così dire, alla maggior parte dell’umanità». Fu un fenomeno unitario, anche se gli antichi la suddivisero in tre fasi principali: la guerra archidamica, la fase intermedia e la guerra deceleica; cioè fino alla sconfitta di Atene.
La guerra del Peloponneso scoppiò quando alcune póleis, alleate di Sparta e minacciate dall’espansionismo ateniese, in particolare Corinto, Tebe, Megara, riuscirono a convincere Sparta a rompere la pace trentennale, dando inizio alle ostilità.
La prima fase della guerra del Peloponneso chiamata “guerra archidamica” deve il suo nome ad Archidamo, il re di Sparta che nel 431 a.C. invase l’Attica.
Dal punto di vista militare, il rapporto di forze tra i due blocchi in lotta – la Lega di Delo con Atene, la Lega peloponnesiaca con Sparta – era piuttosto chiaro: i peloponnesiaci erano superiori nelle forze di terra, gli ateniesi nelle forse di mare. Fu per questo motivo che Pericle decise di non attaccare ma di rinchiudersi all’interno delle mura di Atene; le Lunghe mura, la cui costruzione era stata avviata da Temistocle e completata da Pericle stesso, univano Atene al Pireo consentendole di ricevere rifornimenti. Ma l’ammassarsi dentro alle mura, la scarsa alimentazione indebolirono la popolazione dando il via al contagio di una terribile pestilenza (si pensa al tifo), passata alla storia come la peste di Atene.
Con la scomparsa di Pericle, in Atene si rinnovarono le tensioni tra i democratici, favorevoli al proseguimento della guerra, e gli aristocratici che avrebbero voluto la pace con Sparta. La guerra continuò per altri dieci anni, fino a quando nel 421 a.C. si giunse alla pace di Nicia (dal nome dell’aristocratico che la firmò). L’accordo stipulato tra gli ateniesi, gli spartani e i rispettivi alleati, stabilì di porre fine a tutte le ostilità, di restituire i prigionieri e di regolare le controversie future in modo pacifico. Fu stretta un’ulteriore alleanza fra Atene e Sparta, quest’ultima le obbligava a sostenersi vicendevolmente in caso di aggressioni esterne e rivolte.
Mentre la prima fase fu combattuta tra il Peloponneso e l’attica, la seconda fase, quella intermedia, vede come protagonista la Sicilia. La pace di Nicia non durò molto, soprattutto perché Sparta rimase insoddisfatta e premeva per una ripresa elle ostilità; ma dall’altro lato c’era Atene divisa su chi volesse riprendere le ostilità contro chi voleva mantenere la pace.
La lotta fu per chi doveva avere l’egemonia globale sul “mondo” greco.
Come stratega ci fu Alcibiade, nipote di Pericle, che ebbe dei piani per aiutare Segesta, una città allora in guerra contro Siracusa, alleata di Sparta.
Nei piani di Alcibiade una spedizione vittoriosa in Sicilia, oltre a dare un duro colpo a Sparta, avrebbe permesso di estendere l’egemonia ateniese fin nel Mediterraneo occidentale. Ma la guerra in Sicilia fu catastrofica. Crollato il “mito” della potenza ateniese, fra le città alleate si moltiplicarono le defezioni e le rivolte, questo diede modo a Sparta, considerata un’occasione di attaccare, di darle il colpo di grazia in mare, sull’Egeo.
Ma… come poteva Sparta, potenza di terra, tener testa ad Atene potenza di mare con la sua flotta?
Sparta chiese aiuto alla flotta Persiana, in cambio diede a loro la libertà sulle póleis dell’Asia Minore.
La terza e conclusiva fase della guerra del Peloponneso si chiama deceleica, dal nome di Decelea, una città vicina ad Atene, occupata dagli spartani.
La profonda crisi di Atene portò addirittura alla temporanea caduta della democrazia, gli esponenti più conservatori del partito aristocratico, convinti che proprio gli eccessi della democrazia fossero stati la causa della crisi ateniese, convinsero infatti l’assemblea ad avallare una sorta di colpo di stato. Nel 410 a.C., però, una ribellione dei marinai, fra i quali erano molto numerosi i teti, provocò una caduta del governo e un ritorno alla democrazia.
La guerra riprese, ma ci furono importanti vittorie ateniesi contro gli spartani; nel 405 a.C., però, il comandante spartano Lisandro distrusse la flotta ateniese a Egospotami, nell’Ellesponto; e, mentre gli spartani assediavano Atene, i suoi alleati l’abbandonarono. L’anno seguente, nell’aprile 404, lo stesso Lisandro occupava un’Atene affamata.
Finiva così la guerra del Peloponneso.
Sparta non volle distruggere completamente la città, come chiedevano Tebe e Corinto, ma impose ad Atene condizioni di pace durissime: distruzione delle Lunghe mura, consegna di molte navi, abbattimento della democrazia e l’instaurazione di un regime oligarchico.
I democratici furono colpiti con condanne a morte, confische, esilio: la cittadinanza fu limitata a tremila persone.
Il periodo dei Trenta tiranni piegò Atene a Sparta, ma, nel 403 a.C., i democratici che si erano rifugiati fuori città per sottrarsi alle persecuzioni, guidati da Trasibulo, rientrarono in città, sconfissero i Trenta tiranni e ristabilirono una democrazia moderata.
Con la caduta dei Trenta tiranni seguì però un clima da “resa dei conti”, questo clima portò all’assassinio di Socrate – Socrate venne condannato perché “scomodo” per il potere. In apparenza non faceva nulla di pericoloso: si limitava a dialogare con chiunque lo volesse, dai più grandi sofistiai semplici cittadini, soprattutto giovani, che lo seguivano con grande entusiasmo. La sua vera professione, egli diceva, era la maieutica, vale a dire la tecnica di far nascere i bambini, il mestiere delle levatrici: come queste ultime facevano partorire i corpi, così egli faceva partorire le menti, rivelando verità semplici e ignote. Ma, ciò che portò alla condanna a morte di Socrate per mano della cicuta, fu che venne dichiarato pericoloso per la democrazia.
Atene non tornò più all’antica potenza, ma riacquistò comunque una certa prosperità commerciale e la capacità di giocare un ruolo politico importante. E non perse, neppure nei momenti più bui, il suo primato artistico e culturale. In questi anni infatti furono attivi in città filosofi come Platone, discepolo di Socrate, commediografi come Aristofane, oratori come Isocrate.
La Guerra del Peloponneso