Oggi scriverò sulle epidemie, storicamente parlando, che hanno caratterizzato il corso degli eventi, e le vite degli esseri umani nella storia. Tali malattie, naturalmente esistenti, dipendevano – e dipendono tutt’ora – dalle condizioni sanitarie e immunitarie del paese in cui la malattia arrivava. Più le condizioni igieniche erano precarie, più le difese immunitarie erano basse… e meno l’alimentazione era presente e varie e più la malattia era pericolosa (tutt’oggi non è cambiato nulla); per esempio, quando i conquistadores giunsero nelle Americhe, hanno letteralmente decimato le popolazioni autoctone, in parte con le armi, ma soprattutto con le malattie.
Sì, perché gli europei erano portatori sani di una serie di malattie per cui gli indios non avevano alcun tipo di difesa immunitaria. Malattie come il morbillo, peste e vaiolo, tifo… ma anche una semplice influenza dava origine a una pandemia.
A volte a dare origine alle epidemie era, e lo è tutt’ora, il contatto con alcune specie animali, anche quello indiretto.
Pensiamo all’epidemia più famosa del passato: la peste bubbonica. Quest’ultima, la peste nera del ‘300, ha causato molti morti, soprattutto in Europa grazie alle città popolose; trasmessa dai ratti agli uomini per mezzo delle pulci.
La peste, inizialmente, era una malattia endemica della Mongolia. Ma con le guerre fra mongoli e cinesi, portata in primis dai genovesi, la malattia ha iniziato a diffondersi, fino ad entrare nelle rotte commerciali con l’Europa.
Il termine ‘epidemia’ è antico, poiché ricorre spesso già negli scritti ippocratici dell’antica Grecia: conformemente alla sua etimologia, esso designa un flagello che si abbatte su un popolo, e in questo senso lo si è utilizzato per più di venti secoli. Tuttavia molte cose sono cambiate dai tempi di Ippocrate e, con l’intervento di numerose discipline, il termine ha anche assunto dei significati derivati; la medicina ha spiegato le cause e alcuni meccanismi di propagazione del flagello, la demografia e la statistica sono in grado di valutarne l’incidenza sulla popolazione, la storia e la sociologia interpretano meglio di prima le cronache dei tempi passati e i comportamenti attuali. Tutte queste scienze hanno contribuito a creare un’immagine nuova delle epidemie.
Enciclopedia Treccani
Dall’articolo preso da Alfred Perrenoud (traduzione di Luisa Orelli), ci racconta perfettamente il susseguirsi degli esempi: “fino alle rivoluzionarie scoperte di Pasteur nel XIX sec. e alle misure di Igiene prese di conseguenza, le circostanze ambientali svolsero un ruolo preponderante nella storia delle epidemie, la cui dinamica dipese quasi esclusivamente dall’equilibrio biologico che si instaurava tra la loro virulenza e trasmissibilità da una parte e lo stato immunologico della popolazione dall’altra. Dal momento che la selezione naturale produce i suoi effetti sia sull’agente infettivo sia sull’ospite che ne è portatore, è possibile immaginare l’esistenza di nicchie ecologiche con un proprio equilibrio microparassitario in continuo mutamento. I complessi patogeni dunque appaiono, si conservano o si disintegrano a seconda che le circostanze riuniscano o separino i loro elementi costitutivi – l’uomo, l’agente patogeno e i suoi vettori – e del realizzarsi o meno delle condizioni di equilibrio con l’ambiente necessario alla loro sopravvivenza. L’ambiente naturale influisce su questi equilibri delicati e instabili attraverso la morfologia del suolo e la topografia (nella misura in cui favoriscono od ostacolano il deflusso delle acque), la vegetazione, la temperatura, il soleggiamento e il tasso di umidità. Per quanto riguarda i fattori umani risultano determinanti l’isolamento, la densità e la mobilità della popolazione, ma esercitano un’influenza anche le strutture agrarie, la distribuzione degli abitati, il modo di costruzione e l’abbigliamento.
Per numerose malattie, le osservazioni biomediche contemporanee mostrano un rapporto causale tra le variazioni di temperatura e la mortalità, avallato anche dalle ricerche storiche. La Peste bubbonica colpisce principalmente d’estate e d’autunno, perdendo vigore con i primi freddi. Il Vaiolo raggiunge il culmine alla fine dell’estate. In generale, l’attività degli agenti patogeni, degli insetti e degli animali vettori di epidemie subisce un rallentamento durante l’inverno. L’influenza dello stato nutrizionale sulla predisposizione all’infezione varia a seconda dei casi. Alcune malattie infettive come il morbillo, la Tubercolosi e in generale tutte le infezioni gastrointestinali e del sistema respiratorio risultano molto sensibili a questo fattore, mentre il legame causale è variabile per l’influenza, la Sifilide (portata dalle americhe) e il Tifo e raro nei casi di peste, vaiolo e malaria.
Oltre ai diversi fattori biologici, naturali, sociali e culturali occorre anche considerare le pratiche e i comportamenti sul piano individuale, che rispecchiano il condizionamento sociale e la mentalità collettiva fatta di credenze, superstizioni e valori morali. L’atteggiamento personale nei confronti della malattia, in particolare l’attitudine ad accettare e utilizzare gli strumenti terapeutici e le misure di prevenzione, dipende dalla percezione della malattia da parte del singolo, dalla volontà di rimanere in vita e dalla consapevolezza delle possibilità di intervento. Tutti questi fattori devono essere presi in considerazione quando si intende determinare il grado di contaminazione, contagio e mortalità di una malattia infettiva. Tale grado e le capacità di reazione della società sono pure correlati alle modalità di trasmissione della malattia, raggruppabili in quattro categorie. Le malattie dell’apparato digerente (febbri tifoidi, dissenterie, diarree, Colera) si trasmettono per via fecale tramite la contaminazione dell’acqua. Le malattie a contagio diretto (morbillo, vaiolo, tubercolosi, difterite, influenza, peste polmonare) si trasmettono da persona a persona mediante le vie respiratorie e l’aria. Il contagio può avvenire solo nel caso di una densità demografica piuttosto elevata; l’incidenza della malattia dipende allora dal numero di persone contaminabili, dal tasso di moltiplicazione dell’agente infettivo, dalla sua rapidità di diffusione e dalle capacità di difesa immunitaria. In regioni discoste o a insediamento sparso, alcune epidemie fortemente contagiose e immunizzanti come il vaiolo possono sparire per mancanza di soggetti contaminabili. Quando la popolazione risulta più numerosa, il decorso è diverso: tutte le malattie infettive che immunizzano coloro che sopravvivono si trasformano in malattie infantili e diventano ricorrenti (come nel caso del vaiolo). La terza categoria è costituita dalle malattie che si trasmettono tramite l’apparato riproduttivo (malattie veneree, sifilide e Aids). Infine vi sono la peste, il tifo e la malaria, malattie dovute a punture e morsi di insetti e animali propagate da pulci, pidocchi, zecche e zanzare, che furono le principali responsabili delle grandi epidemie del passato”.
Infine, è sempre un fattore di igiene e delle nostre difese immunitarie.
Noi tutti ricordiamo della grande epidemia durante la Grande Guerra: l’influenza spagnola, detta anche grande influenza. Questa epidemia fu una banale influenza che però si rivelò incredibilmente mortale, e che fra il 1918 e il 1920 uccise circa 100.000.000 di persone in tutto il mondo. Si chiama spagnola perché i primi a darne notizia furono appunto i giornali spagnoli.
Molte epidemie in passato si svilupparono proprio durante, o dopo una guerra. Tra i molti cadaveri, le scarse condizioni igienico sanitarie e la malnutrizione e soprattutto lo stress, l’essere umano era un ospite particolarmente ambito per microbi e batteri. Soprattutto nei cinque anni di guerra, dove anche gli inverni furono particolarmente rigidi.
Molte delle malattie un tempo ritenute mortali oggi sono state frenate con i vaccini. Ne sono un esempio il morbillo, la poliomielite, la pertosse.
Arriviamo agli anno ’80 (sempre del novecento), sono stati gli anni dell’AIDS, una malattia del sistema immunitario che si trasmette in vari modi: da madre a figlio, attraverso le trasfusioni, o con i rapporti sessuali. Le campagne di prevenzione dell’HIV (il virus che provoca la malattia) hanno coinvolto moltissimi giovani: bisognava sensibilizzare a comportamenti responsabili, ma senza innescare il panico.
Pochi anni fa si è sentito parlare di SARS, un tipo di polmonite proveniente dalla Cina. Oppure dell’Ebola, una febbre emorragica diffusa principalmente nello Zaire, o dell’influenza Suina, che ha avuto il suo primo focolaio in Messico.